venerdì 22 marzo 2013

Torino, metonimia per PD
Di Simone Rossi 

Recentemente ho appreso dell'esistenza di una collana dedicata alle principali città italiane e pubblicata dall'editore romano Castelvecchi sotto il titolo "Chi comanda...". Uno dei primi saggi lanciati dall'editore è "Chi comanda Torino" a cura del giornalista Maurizio Pagliassotti, la cui prima edizione è apparsa nella primavera del 2012. Pur trattando delle vicende istituzionali e di cronaca a politica del capoluogo sabaudo negli ultimi venti anni, questo saggio può avere un interesse generale per comprendere cosa sia o sia stato il Partito Democratico fino all'esito delle recenti elezioni legislative; la valenza nazionale di queste vicende non è limitata al fatto molte figure di calibro nazionale della Sinistra comunista e post tale, da Gramsci a Fassino, avessero mosso i propri passi a Torino, ma risiede nella collocazione al Centro, politicamente parlando, che la dirigenza locale ha scelto fin dagli anni successivi allo scioglimento del PCI. Un pionierismo che si riscontro anche nelle vicende giudiziarie collegate alla realizzazione del Centro Commerciale 'Le Gru' che coinvolsero il PDS nella città di Grugliasco, omologo torinese di Sesto San Giovanni.

Porsi la domanda di chi regga le leve del comando a Torino è un esercizio quanto mai importante alla luce delle trasformazioni cui la città è andata incontro a partire dalla metà degli anni '80. Polo industriale per oltre un secolo, con una forte specializzazione nel settore metalmeccanico, il capoluogo sabaudo ha conosciuto una forte fase di de-industrializzazione negli ultimi due decenni del XX secolo con strascichi nel nuovo millennio; amministrare la città, avere il controllo sulle sue istituzioni ha significato determinare quale indirizzo dare all'economia ed alla struttura sociale della città. Tale compito è toccato agli eredi del PCI. Pagliassotti individua nelle elezioni amministrative del 1993 un momento chiave delle vicende torinesi e nella mutazione politica del partito post-comunista. L'elezione a sindaco di Valentino Castellani, sostenuto da una coalizione di centro-sinistra e per cui fu essenziale il voto del centro-destra al ballottaggio, mise fine alla tensione tra due progetti, due visioni del futuro della città: da un altro la Torino industriale e progressista rappresentata da Diego Novelli, sconfitto al secondo turno dopo aver accolto il 46% dei consensi al primo, che puntava a mantenere la vocazione manifatturiera della città, dall'altro una città del Terziario, con un'economia basata su innovazione, cultura e turismo. Durante i due mandati di Castellani (1993-2001) ed i successivi di Sergio Chiamparino,(2001-2011), dirigente di lungo così del PCI/PDS/DS/PD, le amministrazioni locali torinesi hanno avvallato e sostenuto il progressivo disimpegno del gruppo FIAT dalla città, premiandolo con la rendita fondiaria tramite un piano regolatore generoso, emendato a colpi di variante. Emblema e tripudio di questa fase sono stati i Giochi Olimpici Invernali del febbraio 2006, la cui eredità sono i vari complessi residenziali sorti in varie zone della città e gli immensi impianti che faticano a trovare un nuovo impiego, mentre l'economia è in stallo, se non in recessione, non avendo innovazione e terziario realmente colmato il vuoto lasciato dall'industria. Oltre ad un buco di bilancio incontrollato, chi si tenta di riparare con privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico.

I principali protagonisti di questa fase, che prosegue con il sindaco democratico Piero Fassino, sono stati i dirigenti del partito nato dalle ceneri del PCI che hanno perseguito questo progetto guardando sempre più al Centro ed hanno combattuto la Sinistra, tanto quella partitica quanto quella sindacale, contando sull'appoggio dei mezzi di informazione, pronti a porre in cattiva luce ogni forma di dissenso o di obiezione alle magnifiche sorti prospettate ai torinesi dai loro amministratori. Ancora più fondamentale per la mutazione dei post-comunisti e per l'abbuffata immobiliare è stato l'appoggio dei potentati economici, in particolare FIAT ed Intesa-San Paolo, con cui i dirigenti politici hanno intrattenuto un rapporto subordinato, da esecutori materiali, più che non paritario. Questo processo di trasformazione del ex PCI torinese in partito economicamente liberista e socialmente conservatore ha anticipato di alcuni anni un'analoga trasformazione a livello nazionale. In ambedue i casi ha portato ad una progressiva disaffezione da parte della base e degli elettori e quel cinismo che ha reso sempre più sottile la linea di demarcazione tra partiti e finanza, tra lecito ed illecito.

22 marzo: giornata mondiale dell'acqua, fermiamone la privatizzazione

di MonicaR Bedana


Sembra essere consuetudine che le decisioni prese dagli italiani via referendum vengano poi clamorosamente ignorate dall'azione di governo.
E mentre infuria la battaglia sul finanziamento pubblico ai partiti -morto in referendum nel '93 e risorto sotto nuove spoglie un anno dopo- oggi è d'obbligo ricordare che una tarda primavera del 2011, lontanissima ormai nello spirito dei tempi, decidemmo che l'acqua fosse di tutti.

La Commissione Europea rema contro, auspica la privatizzazione.
Proprio per questo è doppiamente importante l'impegno di ogni italiano ad esigere che sia rispettato il risultato del nostro referendum, perché si inserisce in quell'esigenza impellente di un'Europa più sensibile alla sfera sociale dei suoi cittadini.

Doveroso quindi sostenere l'iniziativa dei Cittadini Europei che chiede che le risorse idriche, patrimonio di tutti, non siano esposte alla speculazione dei mercati (qui il registro ufficiale dell'iniziativa). 
Sono state raccolte un milione di firme, ma è necessario che in almeno sette Paese dell'Unione Europea si raggiunga la quota minima stabilita. In Italia mancano circa 40.000 firme per raggiungere il quorum entro oggi.

Pochi minuti per decidere il futuro di un bene sempre più scarso, sprecato, mal suddiviso. La cui gestione, nelle mani sbagliate, può aumentare a dismisura il divario sociale e generale profondi conflitti.

Se non hai ancora firmato fallo al più presto cliccando qui:  https://signature.right2water.eu/oct-web-public/signup.do

Se hai firmato convinci almeno altre due persone a farlo

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I maro' tornano in India...

RITORNERO' IN GINOCCHIO DA TE!!!!!
PERDONO!!!

Al Gore e il capitalismo da riformare


Proponiamo oggi un pezzo interessante su un talk di Al Gore la settimana scorsa a Londra. Gore continua la sua campagna per un capitalismo più sostenibile, per più attenzione per i fattori ambientali, per più regole e diversi sistemi di incentivi per le grandi corporations. Anche chi ha una visione più critica sui limiti del capitalismo non può non essere d'accordo su questi punti. In particolare, molto interessante il concetto di Quarterly Capitalism, cioè quel sistema di governance delle grandi compagnie per cui scelte imprenditoriali che favorirebbero la crescita dell'impresa nel lungo periodo, ma che possono essere potenzialmente dannose nel brevissimo periodo (un quadrimestre, appunto) non verrano mai prese dai vari CEO. L'ossessione con il cosiddetto share values è sicuramente uno dei più grandi problemi del capitalismo moderno, e grandi cambiamenti sono necessari se non vogliamo mandare tutto il sistema all'aria lasciando solo macerie dietro di sè.


Al Gore’s Most Important Talk Ever



di Tim Dieppe
da WHEP Asset Management Blog

I attended a talk by Al Gore earlier this week hosted by ShareAction (which recently changed its name from Fair Pensions). To my surprise, he described it as: “the most important talk I have ever given.” His mission these days is to promote a shift to a more sustainable capitalism – clearly a subject he is passionate about.
He discussed the pros and cons of capitalism, which are well rehearsed: capitalism, said Gore, is the least-worst system there is. It promotes the greatest freedom, harnesses the best of human capacity for innovation, and is at the base of every successful economy in the world today. But there are some cons. First: increasing inequality. Al Gore highlighted that inequality is a necessary condition of capitalism. But likened it to inflation – you need to have some, but you don’t want the hyper-variety. He stated that since the recovery in 2009, 93% of the additional income from GDP growth in the US has gone to the richest 1% of the population. This is clearly not sustainable capitalism.
He then spoke of increasing volatility in markets as an issue that needs addressing. He used the sub-prime mortgages as an example of a failure of capitalism. He went on to discuss the misalignment of incentives. Policy makers and economists focus on GDP which does not capture many important externalities – such as pollution and the benefits of the arts. He said that we are treating the atmosphere as a sewer and that all the carbon assets on balance sheets of major corporations today are sub-prime! Climate change is happening and is already costing billions of dollars as we respond to ‘freak weather’ events. His film “An Inconvenient Truth” was criticised for scaremongering by postulating that seawater could reach the former site of the world trade centre – well it happened last year. Meanwhile no journalist asked a single question about climate change in the televised presidential debates for the US elections.
Gore wants to see the mainstreaming of sustainable capitalism. This involves integrating ESG factors into stock analysis and engaging with companies about sustainability issues. It also involves everyone thinking more long-term about their businesses and investments. What we have today is a system of ‘quarterly capitalism’ where 80% of CEOs would turn down a project that would clearly build long-term shareholder value if it risked causing a miss on quarterly earnings. As Gore said: “The way markets are operating today is functionally insane.”
I hope Gore is in this for the long-term, as the mainstreaming of sustainable capitalism will take some time to achieve and more than one talk to a largely already converted audience. He should aim at some of those CEOs and mainstream fund managers. I also hope that this was not ‘the most important talk of his life’ - rather that there will be many more important talks to come.

Scuole private, fondi pubblici e il referendum di Bologna

Proponiamo due ulteriori post sul referendum sui soldi alle scuole paritarie a Bologna. Il primo pezzo è preso ancora una volta dal sito di Wu Ming. Una lettrice (che teniamo anonima) si domanda quale sia l'utilità pratica di tagliare i fondi alle private se questo rischia di compromettere il diritto allo studio.
Wu Ming 4 risponde nel dettaglio.
Il secondo pezzo è una lettera aperta di una madre bolognese, elettrice del PD, che chiede chiarezza al suo partito sul referendum e sull'uso dei soldi pubblici.

Domanda: salve, a proposito di democrazia, se il referendum consultivo (non abrogativo, fortunatamente), dovesse passare, il consiglio comunale di Bologna, votato democraticamente dai cittadini, cosa dovrebbe fare, farsi influenzare dal 50% + 1 dei votanti, oppure mantenere fede al programma grazie al quale è stato votato dai cittadini (programma dove non si menzionava un cambio di rotta sui finanzimenti alle paritarie)? Inoltre, il milione di euro destinato oggi dal comune alle materne paritarie, a cosa sarebbe destinato nello specifico? Chi si dimostra entusiasta per il referendum ha figli? Lo sa che grazie ai soldi che vengono dati dal comune alle paritarie molti bambini riescono ad andare alla materna? Che altrimenti sarebbero esclusi? Lo sa che molto spesso ad andare alle paritarie sono cittadini stranieri che altrimenti non saprebbero dove mettere i figli e non fantomatici fighetti? Chi promuove questo referendum e chi lo appoggia, ha voglia di scatenare una guerra fra poveri? Di mettere ancora più in difficoltà famiglie stremate dalla crisi? In un mondo ideale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili. Nel 2013 già è molto se non torniamo alla lira. Saluti.


Risposta di Wu Ming 4: Salve. Rispondo nell’ordine alle domande:
1) “Cosa dovrebbe fare” il Comune se al referendum consultivo dovesse vincere l’opzione A?
Innanzi tutto, essendo un referendum consultivo, quindi senza quorum, immagino che dovrà tenere conto di quanti cittadini saranno andati a votare. L’ultimo referendum consultivo a Bologna è stato fatto nel 1997, sulla privatizzazione delle farmacie comunali. Andò a votare il 36% degli aventi diritto, vinsero i contrari alla privatizzazione, ma per il Comune i votanti erano troppo pochi e quindi procedette ugualmente (e legittimamente) a privatizzare il comparto.
Il referendum consultivo dà indicazioni sull’indirizzo politico che una giunta dovrebbe adottare. Starà poi al governo della città decidere se tenere conto del parere dei cittadini oppure no e accettarne le conseguenze. Se la Giunta preferisce tenere in conto il parere della Curia, dei partiti di centrodestra, della FISM e di Comunione e Liberazione, che la affiancano in questa battaglia, anziché quello dei referendari, vedremo quali frutti raccoglierà alla prossima tornata elettorale. Mi permetto di far notare che a livello nazionale stare con quelle forze per tutto il mandato Monti ha portato al centrosinistra i risultati che abbiamo visto.
2) “Il milione di euro destinato oggi dal comune alle materne paritarie, a cosa sarebbe destinato nello specifico?”.
In base al quesito referendario, il milione di euro dovrebbe essere assegnato alla scuola pubblica comunale e statale. Nello specifico le voci di spesa non mancano di sicuro, direi che c’è l’imbarazzo della scelta.
3) “Chi si dimostra entusiasta per il referendum ha figli? “.
Non mi risulta siano state fatte indagini sulla composizione famigliare dei sostenitori del referendum. Posso dire che io, che lo sostengo, ho due figli. E che l’Associazione genitori insegnanti di Bologna e provincia (che presumibilmente include, appunto, dei genitori) appoggia il referendum.
4) “Lo sa che grazie ai soldi che vengono dati dal comune alle paritarie molti bambini riescono ad andare alla materna?”.
Tutti sanno che grazie ai finanziamenti comunali alle paritarie molti bambini possono andare alla materna. Si presume che quel milione non venga investito in altro, altrimenti più che fare un referendum toccherebbe chiamare i Carabinieri.
5) “Che altrimenti sarebbero esclusi?”.
La FISM sostiene che senza quel finanziamento 400 famiglie sarebbero costrette ritirare i figli dalle paritarie. Non so in base a cosa venga fatto questo calcolo. Di certo c’è che in questo momento ci sono 103 bambini che non hanno potuto accedere alla scuola pubblica a fronte di 96 posti liberi nelle paritarie private. Significa che quelle famiglie o non condividono l’impianto cattolico delle scuole FISM oppure non possono pagare le rette. Il diritto che viene leso in questo momento è quello di quei 103 bambini e bambine.
6) “Lo sa che molto spesso ad andare alle paritarie sono cittadini stranieri che altrimenti non saprebbero dove mettere i figli…?”.
La percentuale di stranieri iscritti alle scuole paritarie private è 1,8%, contro il 17,3% nella scuola pubblica. Anche in questo caso pare evidente che moltissimi stranieri emigrati a Bologna non possono permettersi le rette della scuola privata paritaria, oltre probabilmente a non condividerne l’impostazione confessionale.
7) “Chi promuove questo referendum e chi lo appoggia, ha voglia di scatenare una guerra fra poveri? Di mettere ancora più in difficoltà famiglie stremate dalla crisi?”.
E’ precisamente per evitare che i poveri soccombano alla crisi che è necessario dare un segnale politico per rifinanziare la scuola pubblica, laica, gratuita, per cattolici e non, per poveri e non. La scuola per tutti, insomma.
8) “In un mondo ideale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili”.
Ecco noi pensiamo invece che nel mondo reale la scuola pubblica dovrebbe avere tutti i fondi possibili. E’ per questo che si fa il referendum :-)


CARO SINDACO
di La Pasionaria
da lapasionaria.it


Caro Sindaco
noi non ci conosciamo personalmente.
Mi chiamo Barbara Galli, sono bolognese, abito nel quartiere della Bolognina, ho quarantacinque anni, e sono una mamma lavoratrice di quattro figlie.
Visto che ti ho votato alle ultime elezioni, mi permetto di scriverti dicendoti subito, che è la prima e l’ultima volta che scrivo a un sindaco, o a un politico in generale, perché so che voi politici, tutti quanti, di tutti gli schieramenti, siete molto impegnati nella vostra attività principale che è quella -o dovrebbe essere quella- di governare noi cittadini, e se noi cittadini ci mettessimo tutti a scrivervi, tutti i giorni, quando qualcosa che non va, oppure perché ci alziamo storti la mattina, e ci viene in mente una lamentela qualsiasi anche giusta magari, e voi doveste leggerci tutti quanti, e con attenzione, io me lo immagino che non se ne uscirebbe più: le vostre mail o le vostre cassette della posta, sarebbero intasate, e questo andrebbe a discapito della vostra importante attività, che è quella di governare noi cittadini.
Diciamo che ti prometto solennemente -e ogni promessa è debito- che questa mia lettera, è la prima e l’ultima che mando a te o a un qualunque altro politico, di qualsiasi schieramento, è la prima e l’ultima lettera di protesta, che mando alle istituzioni insomma, e quindi ti chiederei di leggerla con attenzione, ché evidentemente, se decido di giocarmi l’unica possibilità che ho nella vita di mandare una lettera a un politico, vorrà dire che penso che sia una cosa importante da fare, insomma ti chiedo di fidarti del mio giudizio, che è quello di un’elettrice del Pd, che ti ha votato: ti chiederei di starmi ad ascoltare cinque minuti, caro sindaco.
Io ti scrivo perché, secondo me, e te lo dico come elettrice del Pd -e dunque quello che fa il Pd è anche un po’ una cosa che mi riguarda- il Pd a Bologna, rispetto al Referendum del finanziamento alle paritarie, non sta tenendo l’atteggiamento giusto, quello che i suoi elettori si aspettano da lui e cioè favorire con ogni mezzo, questo referendum.
Il Pd, caro sindaco mi permetto di scriverlo pubblicamente, dovrebbe farsi carico, di questa battaglia di principio, visto che stiamo parlando non solo di salvaguardare la scuola pubblica, ma piuttosto di tutelare un giusto ed equo utilizzo, del denaro pubblico.
Le scuole paritarie, non so se lo sai, non funzionano esattamente come le scuole pubbliche:
la possibilità di accesso alle materne private paritarie, viene effettuata in base a criteri discrezionali, decisi da ogni singola scuola.
Vogliamo proprio continuare con questi finanziamenti alle scuole paritarie? Se si, allora caro sindaco, ho una proposta per te:  propongo di modificare i criteri per accedere ai servizi che offrono le scuole paritarie, adeguando i criteri di accesso a quelli della scuola pubblica, cioè adottando gli stessi parametri cioè in pratica, istituendo anche loro delle graduatorie per l’iscrizione.
Vabbè è una provocazione, allora facciamo le cose per bene: facciamo di tutto perché la gente di Bologna esprima il proprio giudizio su questa questione che non è secondaria, anzi tutt’altro, è una questione di principio, quindi una questione molto importante.
Caro sindaco sarò onesta fino in fondo con te: due figlie delle mie quattro figlie hanno frequentato materne paritarie, perché in quel momento quando ho dovuto iscriverle cioè, dal punto di vista dell’organizzazione della mia famiglia era più comodo così, cioè mandarle alle paritarie, anche se in linea di principio le avrei mandate volentieri alle materne pubbliche, ma vedi caro singolo, il singolo cittadino, anzi in questo caso la singola cittadina, che lavora e ha dei figli fa prevalere nelle sue scelte di vita, le esigenze pratiche, lo capirai bene il perché non è una martire, mentre invece secondo me, la politica dovrebbe ragionare al contrario e cioè dovrebbe salvaguardare dei principi, ovvero dovrebbe fare di ogni decisione, una questione morale.
Caro sindaco, io come cittadina che ha votato Pd, mi permetto di chiederti di ripensare alla questione, magari partecipando alla manifestazione di domani pomeriggio in Piazza Maggiore, a favore del Referendum.
Pensaci su, va là caro Virginio – posso chiamarti così vero?-, perché davvero il Pd che mi aspetto, quello che sogno, non può decidere di boicottare questo referendum solo per motivi di opportunità economica, ché la politica in cui le persone possono e vogliono credere, è quella dei principi e non solo quella dei valori di bilancio.
Ciao,
Barbara

The Summit. I tre giorni della vergogna


di Giulia Pirrone

Lo scorso 21 Febbraio in una decina di sale cinematografiche italiane e' finalmente uscito The Summit. I tre giorni della vergogna, documentario inchiesta che indaga sulle cause dei violenti scontri e pestaggi avvenuti durante il G8 genovese, che Amnesty International ha definito 'la più grave sospensione dei diritti civili in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale'.







Tra speciali in TV, documentari e film su questo argomento ne abbiamo sicuramente visti tanti. Solamente Youtube propone una vasta videoteca (vedi in fondo al post per il black blob) che pur dando la nausea non permette di distogliere lo sguardo e pensare ad altro. Più si vede e si ricorda, e più tornano la rabbia e la voglia di scavare a fondo per sapere e capire com'e' possibile che ciò, che sicuramente non fu un incidente, sia potuto accadere. Com'e' possibile che sia vero che nel mio Paese la polizia abbia commesso atti di tortura su dei civili con l'assenso della classe dirigente?E pur senza sminuire la rabbia di noi spettatori, questo documentario ha qualcosa di diverso rispetto a ciò che in TV o al cinema e' stato già visto, focalizzandosi sui 'perché' nazionali ed internazionali dei disastri.

Come Diaz: Don't clean up this blood di D.Vicari, e' stato presentato fuori concorso alla Berlinale nel 2012 ed ha da allora girato il mondo tra minori Festival cinematografici prima di  trovare un circuito di distribuzione sul territorio nazionale.








Parliamo infatti di un film prodotto con un budget limitato che ha raccolto un centinaio di interviste per ricostruire da un lato il contesto repressivo internazionale di quegli anni ( basti pensare agli scontri durante i global forum precedenti di Nizza, Goteborg e Napoli), e dall'altro per analizzare le responsabilità politiche sul piano nazionale. Si parla di intelligence internazionale infiltrata tra i black bloc, e di 'verità tumulate' (la specialità' della casa), per coprire i responsabili.
In base alle testimonianze raccolte, dai manifestanti vari a membri della squadra mobile, emerge chiaramente che ci fosse la volontà di massacrare a botte il movimento di protesta perché i media parlassero di questo piuttosto che dei temi trattati all'interno del Summit (fra cui la cancellazione del debito di Paesi in via di sviluppo e l'accesso delle popolazioni alle risorse naturali), ed ancor di più che questo sia stato fatto tramite agenti infiltrati. Sono ben diecimila le testimonianze tra civili ed agenti di Polizia che raccontano di aver visto una quindicina di black bloc scappare dalla Diaz poco prima dell'assalto delle forze dell'ordine.

Essendo stati presentati entrambi lo stesso anno alla mostra del cinema di Berlino, Diaz: Don't clean up this blood e The Summit. I tre giorni della vergogna sono stati contrapposti dalla critica, quando in realtà' sono invece abbastanza complementari. Se il primo si limita ad una puntigliosa ricostruzione delle violenze della Diaz e di Bolzaneto, il secondo ne prosegue il discorso analizzando le cause.








E mentre speranzosi attendiamo la sentenza di Cassazione sulle torture di Bolzaneto, se non ne aveste avuto abbastanza di manganellate nello stomaco, vi consigliamo anche qualche Blob per rinfrescarvi la memoria: